D’accordo, lo abbiamo scritto più volte. Ma repetita iuvant. Se l’Italia non investe sulla natalità e non si preoccupa seriamente dell’inverno demografico è inutile che ci accaniamo a parlare di ripresa. Perché vuol dire che non stiamo ragionando seriamente sul futuro. Vale a tutti i livelli, ovviamente, a partire da Next Generation Eu e soprattutto per le gazzarre politiche cui non vorremmo assistere adesso che si entrerà nel vivo della legge di bilancio.

L’indignazione mi ha preso leggendo l’ultimo libro – fresco di stampa – del demografo Alessandro Rosina, ordinario di Demografia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove dirige anche il Center for Applied Statistics in Business and Economics. S’intitola «Crisi demografica. Politiche per un Paese che ha smesso di crescere». L’editore è Vita e Pensiero (pagina 168, euro 14) ed è inserito nella collana «Piccola biblioteca per un Paese normale».

Non siamo un Paese normale

Il punto, lo sappiamo, è che non siamo un Paese normale – per quanto più bello e più sano di quanto non traspaia dai Palazzi – e non ci dobbiamo rassegnare a questa deriva. Il libro di Rosina si legge agevolmente (è un bravo divulgatore), ma fa arrabbiare. Perché – questo emerge sostanzialmente – ciò che caratterizza l’Italia dagli altri Paesi avanzati, non è un minor numero di figli indesiderati, ma politiche meno efficienti in favore delle famiglie e delle nuove generazioni. Nonostante tutti se ne riempiano sempre la bocca, da decenni, con promesse da marinai (detta con rispetto per i marinai).

Un declino irreversibile?

Come siamo piombati in questo inverno demografico siberiano? Rosina risponde con tre date: «La prima è il 1977, quando il numero dei figli per donna è sceso sotto il livello di equilibrio generazionale (pari a 2). La seconda è il 2006, quando il saldo naturale è stato per l’ultima volta positivo; dopo tale anno le nascite si sono posizionate sistematicamente sotto i decessi (con un divario in continuo allargamento nel tempo). La terza è il 2015, quando la popolazione italiana ha iniziato a diminuire, con flussi di entrata non più in grado di compensare il saldo naturale negativo».

Non basta per dare l’idea del declino irreversibile? «Alla fine di questo secolo – incalza Alessandro Rosina – saremo ben sotto i 60 milioni, si tratta solo di capire quanto sotto (con le tendenze in corso si potrebbe arrivare a un dimezzamento) e con quanto squilibrio tra popolazione attiva e anziana». Noi siamo questo: «Il primo Paese al mondo a vedere gli under 15 superati dagli ultra 65enni. Quest’ultima fascia di età ha ora raggiunto l’entità degli under 25 ed entro il 2040 (forse già entro il 2035) supererà anche gli under 35. Secondo le previsioni Eurostat, inoltre, l’Italia sarà la prima nazione a portare l’età mediana della popolazione oltre i 50 anni, rendendo così prevalenti nella Pensiola le persone con età superiore al mezzo secolo».

Non è sufficiente un ministro per la Famiglia

Non sappiamo come andranno a finire il Family Act e l’assegno unico con le turbolenze parlamentari prossime venture. Ma certo è che – per venirne fuori – non basta un ministro della Famiglia in gamba (com’è Elena Bonetti). Serve che tutti i settori – Economia e Finanza in primis – si prendano carico di questo problema. Si leggano il volume di Alessandro Rosina. Perché – come piace a noi di Mondo Economico – ha anche una corposa parte propositiva sulle strategie da seguire, un corpus, uno sforzo strategico per il new normal che deve vedere coinvolti tutti nelle riforme (Fisco in primis). Ma anche il sistema produttivo, se vuole dare gambe alla sostenibilità e a un welfare aziendale innovativo.

Già. «Se ci si confronta con gli altri Paesi avanzati caratterizzati da livelli di natalità più elevati – ci fa osservare il demografo Rosina – quello che manca all’Italia è una specifica e continua attenzione allo sviluppo di misure integrate che sostengano e rafforzino: i progetti dei giovani di conquistare una propria autonomia e formare una propria famiglia; i progetti delle donne e delle coppie di conciliare in modo efficace il lavoro con la scelta di avere un figlio; il contrasto del rischio di impoverimento delle famiglie con figli».

È troppo auspicare di far diventare l’Italia un Paese normale? E cioè, come ci ricorda Rosina, di mettere le persone nelle condizioni di poter realizzare insieme e con successo – indipendentemente dal genere e dall’origine sociale – i propri obiettivi professionali e i propri progetti di vita?